Articolo di Ruben Olivieri, studente del corso ITS Smartech23.
I sensori elettro-ottici sono strumenti capaci di trasformare le onde elettromagnetiche, dall’UV fino all’infrarosso, in segnali elettrici interpretabili da un computer, trasmissibili ad uno schermo o una combinazione delle due. I sensori elettro-ottici sono ovunque dalla semplice fotocamera digitale fino ai satelliti in orbita. Alcune volte svolgono ruoli semplici come il controllo della temperatura di un oggetto distante pochi centimetri, ma quelli più sensibili sono capaci di esplorare le profondità dell’universo e darci informazioni su stelle distanti milioni di anni luce da noi.
Le tipologie di EOS (dall’inglese electro optical sensor, sensore elettro ottico) sono numerose ma tutte si basano sul principio fotoelettrico, formulato da Einstein all’inizio del Novecento, per il quale un materiale esposto a radiazione elettromagnetica di sufficiente intensità rilascia elettroni. Sono proprio questi elettroni, convogliati e amplificati, a darci informazioni sul tipo di radiazione incidente sul sensore.
I materiali utilizzabili sono principalmente leghe metalliche, accoppiate in modo da avere un polo positivo e uno negativo, per permettere agli elettroni generati dall’effetto fotoelettrico di fluire, creando così una corrente.
Ogni composto reagisce in maniera diversa alla radiazione elettromagnetica in base alla lunghezza d’onda della radiazione e alla temperatura a cui si trova.
Alcuni materiali possono essere più sensibili agli infrarossi (come quelli utilizzati nei termometri), mentre altri alla luce visibile (come quelli delle fotocamere).
Nonostante le combinazioni possibili siano migliaia ci sono solo alcune specifiche leghe utilizzabili, infatti la maggior parte dei materiali richiedono condizioni troppo particolari per funzionare oppure sono inadatti alla produzione del sensore viste le dimensioni microscopiche (spesso di pochi micrometri) le quali limitano fortemente i macchinari utilizzabili per la realizzazione.
Come già accennato i sensori elettro-ottici sono ovunque, dai sistemi di riconoscimento facciale ai termometri touchless utilizzati durante la pandemia, ma uno degli ambiti che ha visto uno dei maggiori e più precoci sviluppi di questa tecnologia è senza dubbio la difesa, e in particolare l’aviazione militare.
A partire dalla metà degli anni 50 gli EOS, lo studio delle radiazioni elettromagnetiche in ambito militare ha portato negli anni a innumerevoli sviluppi, spesso legati alla difesa,, ma a volte anche per l’utilizzo civile come i sistemi a infrarossi su droni ed elicotteri capaci di scansionare vaste aree per la ricerca di persone disperse.
Lo sviluppo e la produzione di EOS è ancora oggi un settore in crescita e un obiettivo prioritario per molte aziende che lavorano anche al di fuori della difesa.
Un concetto chiave per la ricerca e lo sviluppo è lo SWaP-C (Size, Weight, Power and Cost) con il quale si indica l’intento di creare non solo sensori con una migliore risoluzione e sensibilità ma anche una ricerca attiva di soluzioni che li rendano più piccoli, leggeri e meno costosi.
La ricerca continua di miglioramento ha portato allo studio di nuovi materiali e metodi di produzione di questi sensori, come l’utilizzo di SLS (Strained Layer Superlattice) studiato per i satelliti NASA all’inizio del secolo, come alternativa alle convenzionali leghe in utilizzo fino ad oggi.
Ma grande innovazione avviene anche nei sistemi di interpretazione dei dati forniti dagli EOS, grazie all’intelligenza artificiale si sta cercando metodi di filtraggio delle informazioni superflue e di unione di dati provenienti da diversi sensori per aumentare “artificialmente” la sensibilità e la risoluzione.
Le possibilità di impiego in questo settore sono numerose, dalla ricerca di nuovi materiali e tecniche di produzione, alla progettazione e realizzazione di tutti i sistemi ausiliari necessari al sensore per funzionare, fino allo sviluppo dei software capaci di interpretare più efficacemente i segnali ricevuti.
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Fonti: